Una ricerca svela che la teoria del sovrappeso «a pera» o «a mela» ha un valore relativo
MILANO- Cade il paradigma secondo cui avere una forma del corpo «a pera» sarebbe meno pericoloso per la salute rispetto ad averne una «a mela», l’idea, cioè, che il grasso accumulato sui fianchi, sul sedere e sulle cosce sia meno dannoso di quello sulla pancia. LO STUDIO A capovolgere il principio sostenuto da una serie di studi pubblicati negli ultimi anni è una nuova ricerca che ha coinvolto più di 220.000 persone e che è appena stata pubblicata su Lancet. «L’idea che il grasso viscerale potesse essere più pericoloso di quello sottocutaneo aveva una sua logica» spiega il cardiologo milanese Carlo Schweiger, «perché diversamente da quello localizzato nel tessuto sottocutaneo o nei muscoli questo tessuto adiposo non serve solo a immagazzinare energia, ma svolge anche funzioni metaboliche ed endocrine». Per questo si è diffusa tra i medici, e i cardiologi in particolare, la pratica di misurare il giro vita, e il rapporto tra la misura della vita e dei fianchi, oltre all’indice di massa corporea, valore che si basa sul peso in relazione all’altezza dell’individuo. Secondo gli ultimi risultati queste ulteriori misurazioni non servono. «Gli esperti internazionali della Emerging Risk Factors Collaboration che hanno condotto la ricerca sostengono che, indipendentemente da come lo si misura, e da dove si localizza di più, il grasso in eccesso fa sempre male al cuore» sintetizza Schweiger. Ma hanno ragione loro, o quelli che li hanno preceduti? «Questo studio sembra molto attendibile perché molto ben fatto» commenta il cardiologo milanese. «Basti pensare che gli oltre 220.000 partecipanti appartenevano a 58 gruppi di 17 nazioni, e i loro dati sono stati esaminati singolarmente». ANALISI PREVENTIVA - Inoltre i partecipanti sono stati selezionati quando avevano in media 58 anni e stavano bene; sono poi stati seguiti per anni, registrando tutti gli eventi cardiovascolari che si sono man mano verificati, e che sono stati oltre 14.000. «Il metodo che abbiamo seguito è quindi molto più affidabile degli altri, basati sull’analisi a posteriore dei fattori di rischio che possono aver portato all’infarto o all’ictus» spiega Emanuele Di Angelantonio, il ricercatore di origine italiana dell’Università di Cambridge che ha partecipato al lavoro. Tenendo conto dell’età, del sesso e dell’abitudine al fumo, chi aveva un indice di massa corporea, cioè un rapporto tra il peso in chilogrammi e il quadrato dell’altezza in metri, superiore a 20, aveva un rischio cardiovascolare aumentato, qualunque fosse il suo giro vita. «Se poi oltre al sesso, all’età e all’eventuale uso di tabacco, si conoscono anche i livelli di pressione arteriosa, di colesterolo e trigliceridi nel sangue o la presenza del diabete, misurare esattamente anche l’indice di massa corporea o il giro vita aggiunge poco alla quantificazione del rischio» aggiunge Angelantonio. I RISCHI - «Attenzione, però» precisa Schweiger, «ciò non significa che il grasso non conta, anche perché contribuisce all’insorgenza di alcuni di questi altri fattori, come il diabete o la pressione alta». Anzi, lo studio conferma che, in qualunque modo lo si misuri, e dovunque si accumuli di più, il grasso in eccesso aumenta di una quota variabile dal 23 al 30 per cento il rischio di incappare in un infarto o in un ictus. Roberta Villa [Fonte: CorrieredellaSera.it - Salute/Cuore - 22 giugno 2011]
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