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Se si usa molto il cervello si conserva davvero la memoria più a lungo
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La massa si riduce del 5% ogni 10 anni a partire dai 60 anni. Circa il 10% delle persone dopo i 70 anni ha ricordi perfetti

MILANO - Con una massa cerebrale che si riduce più o meno del cinque per cento ogni dieci anni a partire dal compimento dei sessanta, è normale che la memoria possa perdere qualche colpo, e allora non si trovano più le chiavi, si perde il cellulare, non si ricorda il nome di qualche conoscente o il suo numero di telefono. In effetti, sebbene forse oggi si tenda a essere un po’ più ottimisti sul destino dei neuroni degli ultrasessantenni, a un certo punto della vita tutti si rendono conto del fatto che la memoria non è più quella di una volta. A soffrire è la memoria di lavoro, ossia la capacità di tenere a mente le informazioni che servono per svolgere il compito al quale in quel momento si è occupati. Ma comincia a incepparsi anche la memoria episodica, quella memoria a lungo termine di eventi personali che possono essere localizzati in un preciso spazio e in un preciso tempo, per esempio il pranzo in famiglia di domenica scorsa. Anche se invece gli eventi più lontani nella propria storia autobiografica tendono a permanere più saldamente, forse anche perché mentre si fissavano erano investiti di una elevata carica emotiva tipica dell’età giovanile.

LA RISERVA - Di questi cambiamenti ai quali va incontro la memoria con il passare degli anni parla una recente revisione pubblicata sulla rivista Trends in Cognitive Sciences ad opera di un gruppo di ricercatori guidati da Lars Nyberg dell’Università di Umea, in Svezia. La buona notizia è che però non tutti coloro che si inoltrano nell’età avanzata assistono a un decadimento della propria capacità di ricordare. Diversi studi hanno dimostrato che circa il 10 per cento degli ultrasettantenni conserva performance cognitive, memoria compresa, pressoché immodificate. Certamente alla base di questo privilegio c’è una genetica favorevole, ma conta anche la cosiddetta "riserva cerebrale", che in sostanza dipende dal livello che si era raggiunto precedentemente. Più si è fatto lavorare il cervello durante la propria vita, minore il rischio di andare incontro a una ridotta funzionalità cognitiva dovuta alla senescenza, perché in un certo senso si parte da un livello più alto, insomma, come in un serbatoio, si ha più riserva. Lo hanno dimostrato anche gli studi realizzati con la Risonanza Magnetica Funzionale, che indicano come gli ultrasessantenni con più elevate performance cognitive siano capaci di aumentare al bisogno l’attività nelle aree cerebrali che servono per l’esecuzione di un compito, compreso quello mnemonico.

IPPOCAMPO - Dice il professor Alberto Oliverio, docente di Psicobiologia all’Università La Sapienza di Roma, e autore dei libri L’arte di ricordare e Cervello (Bollati Boringhieri 2012): «La memoria ha una specie di crocevia che è l’ippocampo, un nucleo nervoso situato al di sotto della corteccia, vero e proprio snodo della memoria. Quando facciamo un’esperienza nuova, l’ippocampo la trasmette al talamo e alla corteccia dove viene depositata in reti neurali, archiviata per categorie. Similmente, se richiamiamo una memoria, si compie un cammino inverso grazie all’ippocampo. L’ippocampo non è però la sede della memoria ma una struttura essenziale per registrare e richiamare i ricordi. Con l’invecchiamento, l'ippocampo perde neuroni e così anche la corteccia, il che può portare a una minore efficienza nella registrazione delle nuove esperienze. I ricordi del passato, invece, non sono colpiti dai processi degenerativi, a meno che questi non siano gravi come avviene nel morbo di Alzheimer. A questo punto, però, bisogna tener conto che esistono differenze tra le memorie: quelle procedurali (ad esempio allacciarsi le scarpe, andare in bicicletta, compiere atti ripetitivi) sono molto robuste e difficilmente si disgregano col passare degli anni. Tra l’altro, sono le prime a comparire nel corso dello sviluppo. Le memorie dichiarative (si basano sul linguaggio, come lo specificare qual è il proprio indirizzo di casa o ricordarsi qual è la capitale di uno Stato europeo) sono invece più fragili: compaiono più tardivamente nel corso dello sviluppo infantile e sono anche più soggette a deficit. In gran parte queste memorie dipendono dall’efficienza di circuiti nervosi di cui fanno parte neuroni che si trasmettono l’informazione grazie a un mediatore nervoso, l’acetilcolina: sono questi neuroni ad essere più danneggiati nel corso dell'invecchiamento patologico, ad esempio nell’Alzheimer. In genere, le memorie relative ai nomi e ai cognomi delle persone "zoppicano" a partire dai 50-60 anni: è un fatto normale che, se non esistono altri problemi, non deve preoccupare».

CONSIGLI - Ma esistono strategie che davvero siano in grado di fortificare o preservare la memoria? Ecco alcuni consigli del professor Alberto Oliverio: «Più ci si impegna a mantenere una buona forma generale, anche attraverso un’attività fisica quotidiana, più il cervello risulta essere ben ossigenato e funzionante. Questa certamente è una delle azioni fondamentali che si possono fare per il buon funzionamento della memoria. Specialmente per le persone non più giovani, una buona memoria si conserva anche riducendo il rischio di arteriosclerosi, limitando il consumo di grassi, soprattutto di origine animale, mangiando frutta e verdura, cereali e legumi. Anche il controllo della pressione arteriosa ha un effetto protettivo nei confronti della memoria, preservando il cervello da possibili micro-infarti che all’inizio possono passare inosservati, ma che a lungo termine fanno sentire il loro effetto alterando la struttura cerebrale». «Stimolare il cervello con vari interessi è un ottimo modo per tenere attive tutte le sue funzioni, quella mnemonica compresa - prosegue l’esperto -. È soprattutto utile leggere con attenzione prendendo appunti o segnando a margine di libri e giornali i punti chiave, per poter meglio memorizzare il senso di quello che si legge. Ma servono anche l’ascolto attento della musica o fare le parole crociate o il sudoku».

FARMACI - «Non esistono invece farmaci della memoria - puntualizza Oliverio -, e questo vale tanto per gli anziani che per i giovani che devono affrontare gli esami a scuola. Inoltre non risulta particolarmente stimolante il passivo apprendimento a memoria, senza una spiccata partecipazione emotiva o intellettuale. Se studiate una poesia, provate a farlo con una lettura espressiva ad alta voce, che coinvolga quindi più sensi e soprattutto la sfera affettiva. La stessa regola vale per lo studio, ad esempio, di un capitolo di storia o di scienze: non basta ripetere svogliatamente, per ricordare meglio bisogna interpretare profondamente quello che si studia, porsi domande, fare confronti, individuare scalette logiche, tracciare analogie. Solo in questo modo quello che viene studiato è posto al riparo dalla naturale selezione operata dal cervello, che tende ad abbandonare le nozioni catalogate come poco significative o inutili».

Danilo di Diodoro

[Fonte: CorrieredellaSera.it - Salute - 28 maggio 2012]





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