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La dieta mediterranea mette velocemente al riparo dal rischio di gravi malattie
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Cambiare la propria dieta, secondo un nuovo studio, può funzionare in modo veloce e semplice nel ridurre l’infiammazione del corpo, ritenuta responsabile di molte malattie, anche gravi, come quelle cardiovascolari, Alzheimer, diabete, morbo di Crohn, artrite reumatoide e cancro.

Se si vuole ottenere un risultato rapido ed efficace nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, la malattia di Alzheimer, l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, il diabete di tipo 2 e anche alcuni tipi di cancro non c’è bisogno di ricorrere a chissà quali artifici: basta cambiare la propria dieta e, di conseguenza, ridurre l’infiammazione dell’organismo.

A offrire questa possibilità è uno studio coordinato dalla dottoressa Lynnette Ferguson, docente di Nutrizione presso l’Università di Auckland, in cui si afferma che bastano 6 settimane per ridurre significativamente l’infiammazione.
«L’infiammazione – spiega Ferguson nel comunicato Aukland – può essere il catalizzatore per malattie umane croniche, tra cui la malattia di Alzheimer, le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro, come pure varie malattie autoimmuni, tra cui l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn e diabete di tipo 2. E’ stato stabilito in molti studi che questa infiammazione può essere ridotta attraverso una dieta che comprenda un alto apporto di acidi grassi omega-3 a catena lunga, frutta e verdura, noci e cereali integrali; e che sia a basso contenuto di cereali raffinati, grassi saturi e zuccheri».

Una dieta più sana, dunque, per assicurarsi una maggiore protezione dalle malattie che più affliggono l’uomo moderno.
Ma qual è la dieta che maggiormente può assomigliare a quanto proposto dai ricercatori? Senza andare tanto lontano, è un tipo di dieta che abbiamo a portata di mano – o di forchetta, se preferite.
«Molti di questi componenti dietetici caratterizzano la “dieta mediterranea” – aggiunge infatti Ferguson – che ha dimostrato di proteggere contro le malattie croniche.

Ferguson e colleghi hanno proprio voluto investigare per scoprire se vi fosse tra la popolazione neozelandese una diffusione dello stato infiammatorio. Per questo hanno reclutato un gruppo di trenta persone sane – quindi all’apparenza senza infiammazione – per poi vedere se un cambiamento di 6 settimane nella loro dieta avesse un effetto sulla salute e la possibile infiammazione.
Per controllare i potenziali cambiamenti, i ricercatori hanno osservato il comportamento e la presenza di biomarcatori, compresa la proteina C-reattiva (CRP), che è un noto marcatore standard per l’infiammazione che può essere misurata mediante analisi del sangue.

Tutti i partecipanti erano caratterizzati dal seguire una dieta povera di nutrienti e sostanze utili: per esempio assumevano in prevalenza, o esclusivamente, cereali raffinati e cibi raffinati in genere. Per le 6 settimane di prova, i volontari sono stati invitati a seguire una dieta di tipo mediterraneo che comprendesse una maggiore quantità di verdure, frutta, pesce ricco di omega 3, cereali non raffinati, grassi “buoni” come l’olio di oliva e avocado. La dieta prevedeva anche l’assunzione di cibi privi di glutine.
I partecipanti sono stati suddivisi a caso in due gruppi: di cui uno con un intervento di tipo più deciso e l’altro con un intervento più contenuto. Costoro, durante il periodo di follow-up dovevano anche completare un diario e un questionario incentrati sullo stile di vita e la loro dieta. In più, dovevano partecipare a un workshop guidato da esperti dietologi.

«Questo era un piccolo studio – precisa la professoressa Ferguson – destinato a essere uno studio pilota per uno studio molto più grande con pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali come il morbo di Crohn, ma i risultati si sono rivelati statisticamente molto significativi».
Gli esami del sangue hanno confermato una riduzione dei biomarcatori per l’infiammazione in entrambi i gruppi. Tuttavia, nel gruppo dieta ad alto intervento l’espressione del gene era cambiata nel giro di 6 settimane.
«Questo è un risultato notevole – sottolinea Ferguson – poiché mostra che il cittadino medio, molti dei quali giovani e senza condizioni di malattia, può, attraverso un miglioramento della dieta, modificare sostanzialmente i biomarcatori che indicano il rischio di poter sviluppare una malattia cronica più tardi».
La dieta mediterranea si conferma dunque ancora una volta come una delle migliori opzioni per preservare e mantenere la salute – non dimentichiamolo.

[lm&sdp]

[Fonte: LaStampa.it/Salute - 15/01/2013]





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