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Volete bene al cuore? Allora non «risparmiate» sul pesce
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Uno studio sottolinea occorre consumarne molto per garantirsi una reale protezione

MILANO - I risultati dello studio di Marianne Geleinjse hanno fatto sobbalzare parecchi sulla sedia. Dopo aver seguito per più di 11 anni tutta la popolazione over 55 di un paesino alla periferia di Rotterdam, la ricercatrice olandese ha sentenziato: mangiare pesce non previene gli attacchi di cuore. Fa un po’ bene al cuore dei diabetici, ma nessun miracolo. Un dato che va in controtendenza a quello che ormai è il pensiero comune: il pesce fa bene al cuore e bisogna mangiarlo spesso.

STUDIO AMPIO – Dovremo rivedere le nostre convinzioni? Geleinjse, che ha pubblicato la sua ricerca sull’European Journal of Heart Failure, mette la pulce nell'orecchio: «Le pubbliche autorità e molti medici sono convinti che il consumo di pesce, anche in minime quantità, prevenga l’infarto. Eppure gli studi scientifici in merito non hanno dato forti prove a sostegno di questa tesi e i dati appena raccolti dimostrerebbero il contrario». La ricercatrice ha seguito dal 1990 per oltre un decennio tutti i 5300 abitanti con più di 55 anni di una frazione di Rotterdam: all’inizio nessuno aveva avuto un infarto, durante il corso della ricerca se ne sono verificati 669. La dieta di ciascun partecipante è stata scandagliata con questionari appositi nel 1990, per valutare soprattutto frequenza, quantità e tipologia di pesce consumato. Dopo aver analizzato i dati a disposizione, il verdetto: la quantità di pesce messo in tavola non è correlata in maniera significativa all’incidenza di infarto. In altre parole, pur mangiando omega-3 in quantità il rischio di attacco di cuore non cambia di una virgola o quasi: il tasso di incidenza è simile fra chi non mangiava pesce e fra chi ne mangiava oltre 20 grammi al giorno. Solo nei diabetici si è visto un lieve beneficio. Eppure gli omega-3 hanno dimostrato a più riprese di avere effetti antiaritmici, di essere antinfiammatori e di ridurre trigliceridi, pressione e ritmo cardiaco: possibile che contro l’infarto siano come acqua fresca?

CAUTELA – La Geleinjse dichiara prudentemente che non è il caso, sulla base di questi risultati, di far marcia indietro nelle raccomandazioni che invitano a consumare pesce almeno due volte alla settimana: «Nel nostro Paese – dice la ricercatrice olandese – il consumo medio di pesce è molto scarso, meno di una porzione alla settimana: forse gli effetti protettivi sull’infarto si evidenziano per dosi di omega-3 più consistenti. In più il pesce contiene altri nutrienti importanti, come la vitamina D e il selenio, ed è un’ottima fonte di proteine». Nessun freno al consumo, quindi. Anche perché questo è solo il secondo studio condotto in soggetti sani, specificamente mirato a valutare gli effetti protettivi del pesce nei confronti dell’infarto: l’unica altra ricerca precedente aveva ottenuto, nell’arco di 12 anni, risultati di segno opposto che indicavano un beneficio significativo correlato al consumo di pesce. E infatti Salvatore Pirelli, presidente dell'Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri osserva: «Credo che la spiegazione di questo dato sia da cercare nell'introito di omega-3, molto più basso nello studio olandese rispetto a quello preso in considerazione in altre ricerche, fra cui ad esempio i numerosi studi condotti dal GISSI, il Gruppo di Studio Italiano per la Sopravvivenza nell'Infarto». Solo un mese fa dal GISSI è arrivata la dimostrazione che gli omega-3, in dosi però assai superiori a quelle assunte dagli olandesi, prevengono le aritmie in pazienti con scompenso: l'ultimo dato di una lunga serie di conferme in positivo.

BENEFICI – L'ipotesi che occorra aumentare la dose di omega-3 (e quindi di pesce) per vedere effetti benefici pare confermata da due ricerche appena presentate a Vienna, al Congresso dell’European Association for the Study of Diabetes: uno studio canadese ha dimostrato che supplementi a base di olio di pesce migliorano parametri come colesterolo, trigliceridi e glicemia in un gruppo di pazienti con sindrome metabolica. Il campione è più piccolo (156 persone), ma in questo caso i ricercatori hanno verificato anche una riduzione dello stress ossidativo. I canadesi, però, hanno dato per 6 mesi un integratore che conteneva un grammo di acido eicosapentanoico, un grammo di acido docosaexanoico, un grammo di alfa- tocoferolo. Un’enormità rispetto alla porzione quotidiana di 20 grammi di pesce degli abitanti del paesino olandese, che corrispondono a una quantità di acidi grassi polinsaturi totali assai inferiore al grammo. Una dose «rinforzata» di omega-3 si ritrova anche nella seconda ricerca discussa a Vienna, condotta in Francia su una trentina di volontari che per 6 settimane hanno ricevuto 3 grammi di olio di pesce per poi sottoporsi a una 4 giorni di cibi ad alto contenuto di carboidrati. Al termine della dieta a base di pasta e affini, in chi aveva preso olio di pesce non c’erano le alterazioni metaboliche tipiche successive a un eccesso di carboidrati (iperinsulinemia, pressione in rialzo e via dicendo) che invece si riscontravano in chi aveva assunto un placebo.

QUANTITÀ – Anche in questo caso però la dose è assai superiore a quelle analizzate dalla dottoressa Geleinjse: è tutta questione di quantità, allora? «Verosimilmente sì, e conta anche il livello di rischio di ciascuno – risponde Pirelli –. In altri termini, è più probabile vedere una protezione significativa in una popolazione ad alto rischio per l'infarto (come i diabetici dello studio olandese): negli studi GISSI, in cui si sono esaminati pazienti ad alto rischio perché già colpiti da un infarto, l'effetto di riduzione della probabilità di nuovi infarti è evidente». Qual'è allora la raccomandazione dei cardiologi per chi ha un rischio di malattie cardiovascolari medio-basso e per chi invece è più in pericolo? «A tutti consigliamo di mangiare pesce da 3 a 5 volte alla settimana, perché è molto utile al benessere anche grazie agli altri nutrienti preziosi di cui è ricco – dice l'esperto –. A chi ha avuto un infarto è certamente opportuno consigliare integratori di omega-3, cosa che può rivelarsi utile anche in tutte le persone che hanno una probabilità di infarto elevata per altri motivi».

Elena Meli

[Fonte: CorrieredellaSera.it|Salute/Nutrizione - 12 ottobre 2009]





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